selfportrait
di e con oscar de summa

disegno luci marco madues

produzione armunia


Da sempre la follia resta argomento d’interesse e di fascino più che diffuso.
Molte sono infatti le scienze e le letterature che se ne sono occupate senza però riuscire mai ad arrivare sostanzialmente a nessuna conclusione definitiva che tolga dall’imbarazzo del potrebbe succedere a tutti. Ci sono sicuramente stati passi avanti rispetto alle tipologie, alle cause particolari scatenanti, a volte anche a terapie possibili, ma quasi sempre sono empirismi, fortunati o meno, che tentano la comprensione ma che rimangono alla catalogazione. Il dato fondamentale  che si rivela è, forse ciò che appunto affascina,  la frattura.
Attraverso questa frattura scopriamo, deduciamo, intuiamo spazi sconosciuti che la codifica e la
strutturazione dei comportamenti cosiddetti normali non ci permette ne di guardare ne tanto meno di
vivere: varcate le mura che cingono la città (la ratio) si apre l’orizzonte infinito, inizia la dismisura punita dagli dei, che l’uomo non è strutturato in modo di poter reggere tale dismisura. È lì che io mi sono affacciato, prendendo spunto dai telegiornali,  che sempre più spesso ci raccontano di gente impazzita; nel caso specifico la storia è quella di un uomo che impazzisce, uccide la moglie e poi si uccide: è lì che mi sono affacciato cercando di attenermi strettamente ai fatti e solo per scoprire che i fatti non possono sottostare alla logica della narrazione o della cronaca. Per essere raccontati devono per forza attenersi ad una logica della sensazione: coinvolgere e stravolgere costantemente i livelli di percezione dei differenti sensi, per meglio corrispondere al reale del protagonista, ovvero l’attraversamento della frattura da cui non c’è più ritorno se non a patto di dimenticare… a meno che non si utilizzi l’arma tagliente e redentrice dell’”ironia”.Ed infatti proprio attraverso l’ironia il nostro protagonista permette la lettura del suo mondo.
Il linguaggio adoperato non è e non può essere il normale linguaggio parlato. Parte da un presupposto molto semplice: chi arriva a un atto di questo tipo lo fa per troppo o per troppo poco amore, chi arriva a un atto di questo tipo ha sicuramente in atto qualcosa che noi tutti chiamiamo malattia: ed è proprio mescolando in modo poetico questi due linguaggi che è nato un modo di parlare del protagonista di questa vicenda; si mettono insieme, si sposano le parole tecniche e specifiche dei medicinali con quelle dell’amor cortese.